Totalmente innovativa è la disciplina riservata dal codice con gli articoli 189-191 ai rapporti di lavoro che si applica anche ai rapporti diversi da quelli a tempo indeterminato, in attuazione della disciplina tesa ad armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella carta sociale europea.
Il CCII (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) opta per l’introduzione di una disciplina specificamente applicabile ai rapporti di lavoro subordinato in caso di liquidazione giudiziale.
La norma fondamentale dell’articolo 189 si apre affermando che l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento.
Tale affermazione ripropone, di fatto, secondo autorevole dottrina, la previsione dell’articolo 2119, comma 2, c.c. per cui “il fallimento non costituisce giusta causa di licenziamento”, che va interpretata nell’ambito dell’evoluzione storico-normativa della legislazione del licenziamento: pertanto non nel senso che il fallimento costituisca giustificato motivo oggettivo di recesso ai sensi dell’articolo 3, l. n. 604 del 1966, bensì che l’insolvenza giudiziale del datore di lavoro non legittima di per sé il licenziamento.
La seconda parte del primo comma riafferma poi, togliendo ogni dubbio in proposito, che l’apertura della liquidazione sospende i rapporti di lavoro in corso: il rapporto lavorativo entra in una situazione di quiescenza che concede al curatore la facoltà di scelta se subentrare ovvero sciogliersi dal rapporto di lavoro.
L’efficacia delle due diverse decisioni del curatore non ha il medesimo decorso temporale degli effetti; se infatti il curatore recede dai rapporti di lavoro subordinato, tale recesso ha effetto retroattivo sino alla data di apertura della procedura concorsuale; se, invece, il curatore decide di subentrare nei rapporti di lavoro sospesi, allora gli effetti decorrono dalla comunicazione del subentro fatta ai lavoratori e, quindi, ex nunc.
Il che conferma che durante il periodo di sospensione si determina un blocco non solo della retribuzione, ma anche di altri benefici contrattuali, come le ferie, i permessi, le mensilità aggiuntive, il trattamento di fine rapporto e ogni altro istituto connesso con l’anzianità aziendale.
In ragione dei possibili effetti negativi che derivano da questa fase di stasi per il lavoratore dipendente, il CCII stabilisce al comma 3 che il curatore procede senza indugio al recesso dai rapporti di lavoro subordinato, se si rende conto che non è possibile la continuazione dell’attività o il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo.
Ciò vale ad evidenziare che la decisione del curatore non è il frutto di una eccentrica o arbitraria valutazione, ma è funzionale o all’esercizio diretto, pur se temporaneo, dell’attività d’impresa ovvero alla cessione in esercizio dell’azienda o di suoi rami (ciò che potrebbe anche avvenire attraverso il medio di un affitto-ponte in attesa di dare corso ad una procedura competitiva (v. artt. 212 e 214 CCII).
L’utilizzo del termine “recesso” al posto di quello “scioglimento”, che viene impiegato dal codice in generale nella materia dei rapporti pendenti, deriva dal tradizionale utilizzo del concetto di recesso in materia giuslavoristica per designare la potestà unilaterale di estinguere il rapporto da parte del lavoratore (dimissioni) o da parte del datore di lavoro.
È noto, peraltro, che mentre tale facoltà è rimasta più o meno liberamente esercitabile dal lavoratore, è stata via via sottoposta a stringenti limiti legali quanto al relativo esercizio da parte del datore di lavoro, sì che in tal caso, proprio per distinguere l’una dall’altra forma di recesso in rapporto ai limiti connessi al relativo esercizio, quando esso viene effettuato dal datore di lavoro viene chiamato “licenziamento”, che, quando non assume i caratteri del “licenziamento collettivo” assume quelli, pure peculiari, del “licenziamento individuale per giusta causa” o “giustificato motivo soggettivo” o “oggettivo”.
Non è però un caso che, nell’ambito della liquidazione giudiziale disciplinata dal CCII, si torni ad usare il termine recesso anche quando ad esercitarlo sia la parte datoriale, in persona del curatore.
Esso, infatti, non assume in tale ambito necessariamente il carattere proprio del licenziamento, salvo il caso in cui ricorrano le condizioni per procedere ai licenziamenti collettivi, che restano licenziamenti veri e propri (cioè giustificati da specifici motivi e sottoposti a regole rigide di accesso), anche se ad essi si applicherà nell’ambito concorsuale un procedimento in parte diverso da quello previsto dalla l. n. 223 del 1991.
Il recesso del curatore dai rapporti individuali non soggetti ai limiti dei licenziamenti collettivi, invece, non è subordinato a particolari motivi, quindi non si può parlare di licenziamento in senso proprio, ma appunto solo di recesso, cioè di diritto potestativo all’interruzione unilaterale del rapporto.
Punto di vista del curatore non può dunque essere quello del soddisfacimento dei creditori, sia pure perseguendo in via prioritaria delle soluzioni liquidatorie e non disgregative.
Lo stesso art. 189, comma 3, del resto, accanto all’impossibilità di prosecuzione dell’attività o di attuare il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, indica quale motivo che consiglia il recesso senza indugio dai rapporti lavorativi pendenti, l’esistenza di manifeste ragioni economiche inerenti l’organizzazione del lavoro. Tale formulazione sembra far ritenere che non siano sufficienti delle mere difficoltà di carattere organizzativo, ma occorre che queste si riflettano in ragioni di carattere economico particolarmente evidenti; il che vale a dire soppesare la dilatazione del passivo prededuttivo che potrebbe derivare da una prosecuzione dell’attività ed una riattivazione dei rapporti di lavoro rispetto ai benefici economici che ne potrebbero conseguire i creditori.
La seconda tutela apprestata del CCII al fine di evitare ai dipendenti i riflessi negativi della sospensione del rapporto è poi, temporale, posto che questa fase non può durare indefinitamente: salvo quanto si dirà più avanti, é infatti previsto che di regola il decorso di quattro mesi dall’apertura della liquidazione giudiziale s enza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro che non fossero in quel momento ancora cessati si dovranno intendere risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.
Per quanto riguarda il procedimento autorizzatorio, il nuovo Codice assegna un ruolo centrale in questa materia al Giudice delegato, ciò che corrisponde del resto ad un ruolo più attivo dello stesso anche in sede di approvazione del programma di liquidazione, considerato che l’art. 213 CCII consente al giudice sia una verifica preventiva del programma prima dell’inoltro dello stesso a c.d.c., per la sua approvazione, che una più puntuale verifica ed autorizzazione successiva di ogni singolo atto che risulti conforme al programma approvato.
A cavallo, dunque, tra il generale obbligo di amministrare con diligenza la procedura e i doveri specifici dalla medesima derivanti si colloca il dovere di agire nel rispetto del programma di liquidazione approvato ex art. 213 CCII.
Simile documento costituisce, infatti, la fonte privilegiata dei poteri del curatore in vista della realizzazione dell’attivo, ponendosi all’esito del rapporto dialettico tra il curatore e il comitato dei creditori (e il giudice delegato, nei limiti di cui all’art. 213, comma 7, CCII), circa le scelte di amministrazione della liquidazione giudiziale.
Da tanto deriva, quindi, che ogni atto compiuto contro e/o al di fuori del perimetro dell’autorizzazione concessa dal comitato dei creditori, il quale si riveli produttivo di nocumento per il patrimonio concorsuale, espone il curatore all’operatività delle norme sanzionanti la responsabilità risarcitoria.
Il legislatore delegato ha quindi condivisibilmente – alla luce dei possibili confliggenti interessi dei creditori e dei lavoratori – attribuito il potere di autorizzazione in ordine al subentro o al recesso al giudice delegato, limitando ad una mera funzione consultiva il ruolo del comitato dei creditori.
Il curatore esprime la decisione di subentrare nel rapporto di lavoro con l’autorizzazione del giudice delegato, mentre occorre unicamente “sentire” il comitato dei creditori; verbo, quest’ultimo, che sta ad esprimere la mera richiesta di un parere, certamente obbligatorio pur se non vincolante, in quanto la norma prefigura in capo al solo organo giudiziale il potere di autorizzazione o per l’inverso di diniego dell’istanza del curatore.
Questo porta a ritenere che il provvedimento del giudice delegato sarà reclamabile ai sensi dell’art. 124 CCII, mentre dovendosi svalutare il parere del comitato dei creditori a mero atto interno, endo-procedimentale e non vincolante, si dovrebbe sostenere che quest’ultimo non sia autonomamente impugnabile ai sensi dell’articolo 141 CCII (norma che infatti riguarda non i meri pareri, ma le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori).
La sorte dei rapporti di lavoro subordinato è, quindi, soggetta ad un vaglio giudiziale preventivo ad opera del giudice delegato, che appare funzionale anche al bilanciamento, nell’ambito di una situazione di insolvenza, tra gli interessi dei creditori e i diritti costituzionalmente tutelati dei lavoratori.
Quanto agli adempimenti formali, il curatore – ai sensi dell’art. 189, comma 2, terzo e quarto periodo – è tenuto a trasmettere all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale, entro trenta giorni dalla nomina, l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale stessa.
Su istanza del curatore il termine può essere prorogato dal giudice delegato di ulteriori trenta giorni, quando l’impresa occupa più di cinquanta dipendenti.
In altri termini, se persino il superamento di un termine previsto per una mera comunicazione informativa certamente preziosa anche i fini della ricollocazione sul mercato del lavoro ma estranea alla struttura del rapporto contrattuale, richiede l’intervento del giudice delegato non si vede perché questi, nel silenzio della norma, non dovrebbe ugualmente intervenire in sede di scioglimento del rapporto di lavoro, oltre che di subentro nello stesso.
Pur prevedendo di regola che la durata massima del periodo di sospensione dei rapporti di lavoro sia di quattro mesi (come anzidetto) dall’apertura della liquidazione giudiziale, la norma regola tuttavia l’ipotesi forse non così frequente nella prassi, in cui sia necessario uno spatium deliberandi maggiore.
La possibile ripresa dell’attività aziendale, ovvero la possibilità di procedere ad un trasferimento di azienda sono infatti ritenute dell’art. 189, comma 4 quali presupposti alternativi per poter ottenere una proroga del termine dei quattro mesi di sospensione del rapporto di lavoro, fino ad un massimo di ulteriori otto mesi. La procedura di proroga è attivata da un’istanza effettuata dal curatore o, in modo del tutto innovativo, dal direttore dell’ispettorato del lavoro territorialmente competente, che va depositata presso la cancelleria del tribunale nel termine decadenziale, previsto infatti a pena di inammissibilità, di almeno 15 giorni prima della scadenza dei quattro mesi di cui sopra.
Con le stesse forme, sia personalmente che a mezzo legale munito di procura, tale istanza di proroga può essere avanzata anche da uno o più singoli lavoratori.
In tal caso la proroga avrà però un’efficacia relativa ai soli dipendenti richiedenti.
Dalla formulazione della norma si evince che una eventuale precedente decisione del curatore di subentrare o sciogliersi dai rapporti di lavoro impedisce la proposizione di questo tipo di istanze al direttore dell’ispettorato o ai lavoratori stessi.
In tal caso è il giudice delegato a disporre la proroga e a dover provvedere entro trenta giorni dall’istanza o dall’ultima delle istanze presentate (termine che deve ritenersi ordinatorio in difetto di sanzione processuale).
La disposizione, prevede che il giudice possa assegnare al curatore un termine non superiore ad otto mesi per assumere le sue determinazioni: tale formulazione sta a significare che il provvedimento non è scontato, ma a natura discrezionale.
Ai sensi dell’art. 189, comma 2, secondo periodo, se durante il periodo di sospensione il curatore decide – con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori (art. 189, comma 1) – di subentrare nei rapporti di lavoro, tale subentro decorre dalla comunicazione dal medesimo effettuata ai lavoratori, non essendo quindi dovute retribuzioni e contribuzioni per il lasso di tempo dalla data di apertura della liquidazione giudiziale sino alla comunicazione di subentro da parte del curatore.
Certamente la sospensione implica che i lavoratori restino per un certo periodo senza reddito, nonostante non possano dimettersi, se non con preavviso a loro carico.
Ma si tratta di soluzione inevitabile se si vuole evitare una deriva certa verso il licenziamento sempre comunque, che il curatore inevitabilmente sceglierebbe, in caso alternativo, per evitare il proliferare di prededuzioni la cui inutilità e lesività per gli altri creditori potrebbe essergli contestata ed addebitata in mancanza delle condizioni che giustificassero la prosecuzione dell’attività d’impresa.
Peraltro, la perdita per il lavoratore è contenuta nel massimo entro il tempo di durata della fase di sospensione, poiché, successivamente al subentro del curatore, ai rapporti di lavoro tornerà ad essere applicabile la disciplina lavoristica “ordinaria”, ivi compresa quella inerente al licenziamento ed il relativo sistema sanzionatorio in caso di illegittimità dello stesso, dovendosi ritenere esaurita con la scelta del subentro la possibilità per il curatore di avvalersi della disciplina speciale di cui all’art. 189.
Di conseguenza, il subentro determinerà a carico della liquidazione giudiziale il sorgere di obbligazioni retributive e contributive mensili da soddisfare in prededuzione, così come quelle relative all’indennità sostitutiva del preavviso (una volta intervenuto l’eventuale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo o soggettivo ovvero il licenziamento collettivo ovvero ancora le dimissioni per giusta causa del lavoratore), alle quote di Tfr maturate dalla data di apertura della procedura (mentre le quote maturate presso l’imprenditore in bonis hanno natura concorsuale).